Una stanza tutta per sé e Quaderno proibito

Per la Giornata Internazionale della donna, che è solo un momento in più per riflettere.

Ho scoperto un file rouge fra queste due letture che non mi aspettavo.

Virginia Woolf, che parla alle ragazze di due scuole universitarie femminili, cercando di coniugare donne e romanzo, indagando sul perché fino a poco tempo fa la donna non scriveva: il problema principale, dice, è che per poterlo fare “deve avere soldi e una stanza tutta per sé.”

E Valeria, la protagonista di Quaderno proibito, che sembra darle ragione, ogni volta che ribadisce che vorrebbe “una camera tutta per me”, cosa che osa confessare solo a un certo punto, solo alla figlia con cui tanto è in contrasto e che anche io inizialmente faticavo a capire, ma che poi è diventata la mia preferita fra tutti i personaggi.

Se dovessi citarvi ogni frase che ho segnato di questi due libri vi narrerei tutto, quindi mi sono limitata a riportarvi nella foto il punto di congiunzione. Ci tengo però a spendere due parole, perché sono rimasta colpita da queste letture.

Woolf scrive dei discorsi, pertanto il tono è ovviamente diverso rispetto a De Céspedes e al suo diario segreto. Ma entrambe portano alla luce senza alcun dubbio la disparità di trattamento nei confronti dei due sessi, come le donne siano state relegate per tanto tempo a dei ruoli dai quali non si esce facilmente.

L’angelo del focolare è stato convinto di non poter essere altro. Di non poter vivere in altro modo. Gliel’hanno ripetuto così tante volte che non saprebbe più come fare se dovesse uscire da quel ruolo, dire basta, affermare di avere dei bisogni. Anche semplici. Come una stanza tutta per sé. Per scrivere, per riposare, per essere un individuo autonomo e pensante.

Eppure, Valeria a un certo punto, scrivendo nel suo diario, inizia a prendere consapevolezza di sé. Allora perché non si ribella? Perché non dice no? Perché non fugge quando ne ha l’occasione?

La risposta è in alcuni passaggi, quando dichiara di essere troppo vecchia per capire le nuove regole del mondo, o nel continuo senso di colpa, nei confronti del marito, dei figli, anche se una colpa non c’è.

Per buona parte del libro ho odiato Valeria, per questa sua non iniziativa, o azione a metà. A un certo punto però ho iniziato a pensare “che diritto ho io di decidere se per la sua vita sia più giusto essere consapevole delle meccaniche del patriarcato o se conoscerle le renderebbe solo la vita impossibile?”.

Ammetto che questo mi fa arrabbiare, perché la lotta è per tutti, se pensassimo solo al singolo saremmo già tutti morti. Una cosa però non si fa mai, ed è colpevolizzare le vittime. Per questo, come dico spesso, più che parlare di colpe bisogna parlare di responsabilità e tutti abbiamo la nostra, perché ricordate che la società non è qualcosa di astratto, ma siamo ognuno di noi.

La protagonista di questo libro è figlia del suo tempo, così come lo è suo marito e così come lo sono i suoi figli. Ma, come dice lei, c’è una generazione che ha semplicemente fatto da ponte, fra l’ignoranza e la consapevolezza. Noi ora siamo qui e stiamo lottando. E continueremo a farlo, sperando in un domani migliore per chi verrà dopo di noi.

P.s. Se avete altri libri da consigliarmi di De Céspedes, vi prego, fatelo.

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